Come cambia l’alfabetizzazione climatica nei paesi Europei

I cittadini europei sembrerebbero avere un livello preoccupantemente basso di conoscenza del cambiamento climatico e delle dinamiche ad esso associate. Meno di un europeo su cinque (16,5%) può essere definito “climaticamente alfabetizzato”, una percentuale che comunque è tre volte superiore a quella statunitense (4,9%).

E’ quanto emerso da un sondaggio condotto da Allianz Global Corporate & Specialty (AGCS) su 5.000 persone equamente distribuite tra Germania, Francia, Italia, Regno Unito e Stati Uniti.

La ricerca ha indagato le conoscenze su clima, politiche e azioni climatiche, definendo il tasso di alfabetizzazione climatica dei diversi paesi. Sono state poste dieci domande riguardanti sia aspetti scientifici (Quali sono gli impatti dell’aumento della temperatura? Come si può combattere efficacemente il surriscaldamento?) sia politici (Cos’è la COP26? Qual è il compito dell’IPCC?), oltre ad alcuni semplici quesiti in merito a false opinioni diffuse.

Solo il 14,2% degli intervistati ha dimostrato di essere veramente alfabetizzato sul clima, rispondendo correttamente ad almeno sette domande su dieci. Circa la metà dimostra una conoscenza nella media (da quattro a sei risposte corrette), mentre un terzo non ha raggiunto la sufficienza (tre risposte corrette o meno).

Circa la metà dei partecipanti al sondaggio è informata sul quadro politico per la lotta ai cambiamenti climatici, cioè sa definire correttamente la COP26 e il Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC). Tuttavia, le differenze tra i paesi sono molto pronunciate. Mentre il 72,9% dei francesi e il 65,7% degli intervistati britannici ha scelto la risposta corretta alla domanda sulla COP26, questa quota si riduce a un modesto 22,9% negli Stati Uniti. Sorprendentemente, questa proporzione è solo marginalmente più alta tra gli intervistati tedeschi (31,1%). L’Italia si colloca nel mezzo con un 46,3% di risposte corrette.

Più incoraggianti sono le risposte sugli effetti del cambiamento climatico. Due terzi degli intervistati, anche negli Stati Uniti, sono consapevoli che un aumento della temperatura di due gradi o più avrebbe conseguenze catastrofiche per la natura e le popolazioni. Tuttavia, quasi un terzo (31,2%) dei cittadini statunitensi sostiene anche che l’uomo e la natura possano adattarsi all’aumento delle temperature, anche oltre i tre gradi, senza grossi problemi.

Questa percentuale è quasi il doppio di quanto registrato nei quattro paesi europei. Tra questi, l’Italia sembra avere la visione più catastrofica, probabilmente perché è un territorio a forte rischio idrogeologico e sta subendo eventi climatici sempre più estremi. La percentuale di chi sostiene che l’aumento delle temperature non è un problema è la più bassa in assoluto (12,2%), mentre la quota di coloro che affermano che un aumento della temperatura superiore ai 2°C provocherà danni irreparabili è la più alta (79,4%).

Il sondaggio ha anche rilevato un divario di genere: mediamente le donne hanno ottenuto un risultato più basso di 12 punti, e tra esse la percentuale con bassa alfabetizzazione climatica è del 42,3%. La differenza è minore in Germania (7,5 punti) e più alta nel Regno Unito (18,1 punti). Di conseguenza, la quota delle donne con alta conoscenza climatica risulta minore rispetto agli uomini (10,6% contro 18,0%).

Quali sono le motivazioni di questo divario di genere? Non è certamente correlato a diversi livelli di istruzione, interessi o propensione al rischio, aspetti che al contrario favorirebbero una maggiore alfabetizzazione climatica nella popolazione femminile. La spiegazione risiede nel fatto che le donne intervistate hanno scelto molto più spesso la risposta “non so”, privandosi così automaticamente della possibilità di dare la risposta corretta in modo casuale. Gli intervistati di sesso maschile, invece, sembrano avere maggiore fiducia nelle proprie conoscenze, il che aumenta anche la probabilità di risposte corrette.

Il livello di alfabetizzazione climatica cambia con l’età? Le recenti proteste per l’ambiente sono state ampiamente sostenute dai giovani, che hanno dimostrato attenzione e sensibilità al tema, ma sono anche meglio informati? Contrariamente a quanto sembrerebbe logico dedurre, la conoscenza in materia climatica sembra aumentare con l’età: la percentuale di intervistati con un alto livello di alfabetizzazione climatica è più alta tra i Baby Boomer con il 16,3%. La Generazione Z, la più giovane intervistata, raggiunge solo l’11,5%, mentre i Millennial e la Generazione X hanno risultati intermedi.

L’Italia mostra risultati più uniformi rispetto ad altri Paesi: Baby Boomer e Millennial hanno percentuali molto simili (rispettivamente 18% e 17,8%), la Gen Z raggiunge il 13% e la Gen X il 12,5%.

La ricerca mostra anche che la probabilità che una persona compia attivamente uno sforzo per ridurre la propria impronta ambientale aumenta con l’alfabetizzazione climatica. Tra gli intervistati con un punteggio medio l’inattività è praticamente nulla, mentre tra quelli con un punteggio basso arriva al 13,4%. Le persone con un’elevata alfabetizzazione climatica hanno inoltre una probabilità tre volte superiore di risultare nel gruppo “molto attivo”, con una quota del 44,3% a fronte del 12,6% degli intervistati con bassa alfabetizzazione climatica e del 28% di quelli con un punteggio medio.

Si può dedurre che la volontà di adoperarsi in prima persona per proteggere l’ambiente aumenta in linea con le conoscenze sugli effetti dei cambiamenti climatici. Nel complesso i risultati mostrano dunque come l’alfabetizzazione climatica non sia affatto un concetto astratto, ma ha conseguenze tangibili e dovrebbe per questo essere favorita dai singoli Paesi con percorsi educativi e formativi.

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