Cosimi: sostenibilità e rischi esogeni le sfide per i risk manager

Dal 15 aprile scorso, Carlo Cosimi è il nuovo Presidente di Anra, l’associazione italiana dei risk e insurance manager. Carlo, già Vice Presidente, ha sostituito il Presidente uscente Alessandro De Felice, in carica dal 2015 e che ha guidato l’associazione per due mandati.

Membro del Consiglio Direttivo di Anra dal 2015, Carlo ha una lunga esperienza nel risk management, in particolare in un settore cruciale come quello energetico. Attualmente è Corporate Head of Insurance and Risk Financing di Saipem Spa, e consigliere di amministrazione del The Standard P&I’s Club di Londra.

Il nuovo Presidente ha partecipato in questi anni alla forte crescita dell’associazione, che conta oggi quasi 800 soci e sta assumendo sempre più in Italia il ruolo di opinion leader sui temi dei rischi aziendali.

Commercial Risk Europe lo ha incontrato per conoscere su quali linee guida intende portare avanti la sua presidenza.

La tua nomina alla presidenza è arrivata da un Consiglio Direttivo in gran parte rinnovato: quali sono le caratteristiche del nuovo gruppo di lavoro e quale contributo attendi dai consiglieri eletti?

Il Consiglio Direttivo è stato in effetti rinnovato per i 2/3 dei suoi membri, e ha due caratteristiche che a mio avviso sono particolarmente distintive. La prima riguarda una composizione attenta agli equilibri di genere, con 7 donne su 13 membri del consiglio, così come i due vice presidenti, che sono Paola Radaelli e Gabriella Fraire. La seconda caratteristica è il profilo molto elevato dei consiglieri, persone che sono primi livelli nelle aziende in cui lavorano e consulenti di grande esperienza. Dalle elezioni è uscito un gruppo di lavoro che unisce qualità, esperienza e valore professionale, sono certo che tutti daranno un contributo non solo alla governance dell’associazione ma anche alla crescita della cultura della gestione del rischio

Quali sono le linee di azione che intendi portare avanti nel prossimo triennio?

Negli ultimi 6 anni Anra ha avuto un aumento degli associati e una crescente visibilità. Siamo orgogliosi della nostra attività formativa, che in pochi anni ha raggiunto i numeri per essere un riferimento nella professione a livello nazionale. Dopo questi anni di forte crescita, il periodo che ci aspetta sarà orientato al necessario consolidamento. I miei obiettivi sono di rivedere la governance interna, aumentare la qualità e la varietà dell’offerta formativa di Anra, rendere più efficace la strategia di comunicazione, rafforzare la rete delle partnership con altre associazioni professionali, le associazioni produttive che operano sui territori, i centri di ricerca che lavorano su tematiche affini alle nostre. Abbiamo già delle collaborazioni attive con alcune università ma vogliamo rafforzarle e incrementarle.

Hai parlato di temi centrali oggi per il risk management: quali sono dal tuo punto di vista?

Nella nostra attività associativa, pur rimanendo importanti i temi assicurativi, credo sia sempre più necessario approfondire i rischi più strategici con una visione olistica del risk management. Bisogna comprendere come aiutare le nostre aziende a gestire i rischi legati ai nuovi modelli di business, come quelli relativi alla transizione energetica, all’industria 4.0 e all’IoT, all’economia circolare, solo per citarne alcuni. Nei prossimi anni sarà fondamentale anche il confronto con i rischi correlati al cambiamento climatico, con quelli legati agli impatti sociali e alle tensioni politiche internazionali che determinano gli scenari di impatto sulla Business Continuity e la gestione delle Supply Chain.

Quali saranno nel prossimo triennio i rapporti di Anra con Ferma?

La forte crescita dei soci pone oggi Anra al 4° posto per numero di associati tra le associazioni europee che si riuniscono in Ferma. Attualmente Anra raccoglie il numero maggiore di risk manager certificati Rimap, e una nostra consigliera, Valentina Paduano, fa parte del board di Ferma. Penso che possiamo essere un partner di primo livello per supportare le iniziative che Ferma porta avanti con gli stakeholder europei. Vogliamo rafforzare la relazione con la Federazione, essere più presenti per contribuire alla crescita della nostra professione in Europa.

Guardando all’Italia, quali sono gli ambiti verso cui i risk manager dovranno aumentare la loro attenzione nel prossimo futuro?

In Italia c’è ancora bisogno di risk manager in tutti i settori, a partire dalla Pubblica Amministrazione centrale e dagli enti locali territoriali, che non sono preparati nella gestione del rischio. Ma questo non è un cambiamento che si può improvvisare perché in tali ambiti servirebbero risk manager di esperienza e di grande professionalità.

Questo concetto vale anche per le piccole e medie imprese, che costituiscono oltre il 90% delle aziende italiane e solo negli ultimi anni si stanno avvicinando ai sistemi di risk management. Nelle Pmi esiste un pregiudizio relativamente al fatto che il risk management richieda sempre una struttura troppo gravosa per le loro possibilità. In realtà non è così: le piccole imprese hanno minori esigenze rispetto alle grandi e possono affidarsi in outsourcing a consulenti preparati che dimensionano l’intervento in base alle possibilità e alle reali esigenze delle aziende. Lavorare con l’imprenditore e i suoi collaboratori sulla cultura del rischio può non essere né costoso né complesso, e dare ottimi risultati.

Parlando delle tipologie di rischio, sarà importante fare attenzione ai nuovi rischi emergenti e alla sostenibilità. La sfida è aumentare la capacità di conoscenza dei rischi tramite la raccolta di dati e l’utilizzo di strumenti di analisi adeguati. Per avere una visione sull’intera panoramica dei rischi è opportuno dotarsi di banche dati complete e utili alla modellizzazione di diversi scenari di rischio.

Dal 19 al 21 maggio si svolgerà il convegno nazionale di Anra che avrà come tema principale la sostenibilità. Secondo te, quale contributo possono dare i risk manager alle proprie aziende in questo ambito?

La sostenibilità rappresenta un processo che nelle grandi imprese è partito da almeno dieci anni e che ha seguito una scalata al vertice dell’interesse aziendale, raggiungendo la C-suite delle aziende dove si definiscono le strategie. Un percorso che è parallelo a quello seguito negli anni dal risk management. Oggi qualsiasi strategia aziendale deve essere impostata in modo consapevole rispetto a sostenibilità e gestione del rischio. Sarà interessante vedere come questi due ambiti si contamineranno e in che modo le rispettive funzioni aziendali potranno divenire sinergiche.

Le Captives sono una modalità di trasferimento del rischio di cui tu sei esperto. In che modo pensi che siano oggi uno strumento utile per la realtà imprenditoriale italiana?

Le società Captives sono state professionalmente il mio primo grande amore, da quella esperienza è cresciuto il mio interesse per i rischi aziendali. Le soluzioni Captives permettono alle aziende di autofinanziare i propri rischi, anche quelli non appetibili dal mercato. A differenza di altri paesi, come Irlanda e Lussemburgo, l’Italia non ha mai fatto una scelta chiara su una normativa che regoli le Captives, manca una disciplina che le riconosca come realtà specifica e la distingua dalle compagnie assicurative di mercato. Oggi, quindi, in assenza di licenze specifiche, è possibile quindi registrare una Captive come una compagnia assicurativa tradizionale. Ciò rende complesso gestire una società di questo tipo in Italia ed è il motivo per cui le imprese italiane interessate si orientano verso Paesi che hanno una chiara e stabile normativa in materia. In ambito europeo ci sono molti Paesi che si interrogano se non sia opportuno ridomiciliare in casa le Captives delle imprese nazionali con una normativa adeguata. In Francia questa discussione è più avanzata, in Italia meno. Come Anra saremmo molto contenti se ci fossero le condizioni adatte per creare società Captives in Italia e stiamo lavorando per sensibilizzare le istituzioni preposte sull’argomento: la questione è regolamentare ma anche politica, servono i presupposti per rendere attrattivo stabilire società di questo tipo nel nostro Paese.

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