Hard market: le imprese italiane puntano sulle captive

L’inasprimento del mercato assicurativo, i cui segnali erano evidenti già alla fine del 2019, si è confermata nel corso di quest’anno, ulteriormente complicata dalle conseguenze della pandemia. Le organizzazioni stanno quindi cercando soluzioni alternative.

La recente European RM Survey di FERMA ha rilevato un incremento nelle scelte di Risk Retention e, soprattutto, una vera e propria esplosione nella diffusione delle captive, scelte oggi come soluzione dal 43% dei Risk Manager europei (nel 2018 questa percentuale era solo del 15%). Secondo il Captive Report 2020 di Commercial Risk Europe, che riporta le opinioni di una serie di imprese europee sull’attuale situazione del mercato e sulle opzioni verso soluzioni captive o altre formule innovative che si stanno affermando, l’87,5% degli intervistati prevede di gestire più rami di business tramite la captive in futuro, il 12,5% uguale, nessuno di meno.

E’ una soluzione che si adatta a imprese di diverse tipologie e dimensioni, e a differenti tipi di rischi, a patto però di avere una strategia a lungo termine e di conoscerne gli aspetti fiscali e gli oneri di compliance nei confronti delle Autorità di Controllo.

Ne abbiamo parlato con Enrico Guarnerio – CEO Strategica Group e Presidente Comitato Tecnico Scientifico ANRA, tra i relatori del webinar “Captives: soluzioni all’hard market” organizzato da ANRA.

Partiamo dai dati appena presentati: quali sono secondo la tua opinione il motivo per cui sempre più aziende stanno adottando soluzioni captive?

Le problematiche principali di partenza sono due: l’inasprimento del mercato assicurativo, e il fatto che alcuni rischi emergenti non trovano possibilità di collocamento sul mercato. Le captive sono una tipologia di soluzione che presenta per le grandi imprese una serie di vantaggi, tra cui un maggiore controllo sulla gestione e sul finanziamento del rischio, l’autonomia nel controllo delle perdite e delle strategie di mitigazione dei sinistri. Tutti questi aspetti fanno ritenere che le soluzioni di autoassicurazione potranno restare rilevanti anche quando il mercato tornerà ad avere migliori condizioni di sottoscrizione. Va infatti considerato che si tratta di soluzioni che richiedono scelte strategiche a lungo termine per utilizzarne i vantaggi assicurativi e finanziari nel lungo periodo. Se un’azienda ritiene che il proprio profilo di rischio non sia cambiato, ma si trova a dover comunque far fronte a crescenti costi per il suo trasferimento, avendo la capacità finanziaria per farlo opterà per trattenere un rischio maggiore, e le captive risultano essere il mezzo più adatto.

Qual è il momento giusto per creare una captive?

È un tema che torna in auge ogni volta che i mercati diventano hard, quando le imprese devono far fronte a difficoltà di ottimizzazione della spesa assicurativa piuttosto che di collocazione dei propri rischi. La verità è che, anche tenendo conto del fatto che l’alternanza di periodi di soft e hard market è tradizionalmente ciclica, le tematiche di ritenzione vanno considerate ex ante, quando i mercati sono soft: è quello il momento in cui bisogna approfittare per creare accantonamenti, è quello il momento in cui si comincia a costruire la resilienza di un’azienda tramite strumenti di autofinanziamento del rischio.

Come è cambiato questo settore negli anni?

Oggi è un ambito estremamente più complesso e tecnico rispetto al passato. Se fino a 20 anni fa era ipotizzabile creare una captive per motivi semplicemente contabili o amministrativi, oggi non è più un processo così semplicistico. Ci deve essere alla base un approccio di risk management, e questo impone una serie di passaggi approfonditi di analisi e valutazione, per arrivare ad accantonamenti graduali che portino l’azienda ad aumentare la tolleranza al rischio nel tempo, e quindi di conseguenza a reagire meglio ai futuri andamenti del mercato. Se io come azienda approccio la tematica del finanziamento del rischio, devo cominciare innanzitutto quindi a chiedermi qual è il costo atteso del rischio, che non è la media dei sinistri registrati negli anni, ma dev’essere fatto utilizzando metodologie quantitative e metodi di calcolo indicati anche in Solvency II. Purtroppo spesso oggi si vede una ritenzione eccessiva sulle fasce basse di rischio, e una occulta sulle fasce alte, cioè non si capisce sulla base di cosa venga calcolata. Il mercato non può essere un punto di riferimento, soprattutto oggi che le forbici dei costi sono estremamente ampie. Devo poter dimostrare di aver applicato metodologie quantitative, valutazioni attente del valore del rischio, e sulla base di queste aver scelto le allocazioni. A questo punto sono anche in grado di giustificare il tutto alle autorità fiscali.

Qual è la dimensione in termini di premi che può giustificare il ricorso a una captive o che comunque lo rende efficiente rispetto ai suoi costi di gestione? E’ una soluzione adatta ad aziende di qualsiasi dimensione?

Per rispondere bisogna partire dalla distinzione di due aree di rischi sottoscrivibili da una captive. La prima riguarda i programmi tradizionali (ad esempio property, liability, marine) per cui il mercato ha molte soluzioni assicurative. La seconda riguarda i rischi tradizionalmente non assicurati, come il rischio credito, il rischio reputazione, il cyber, la business interruption. Se l’obiettivo di un’azienda è dotarsi di una captive per gestire i primi, è necessario che parta da una dimensione abbastanza importante in termini di premi sottoscritti (volume intorno ai 3 / 4 milioni), per fare una valutazione di quanto di questi vuole ritenere, arrivando ad un volume di ritenzione che non sia inferiore a 1 milione di euro di premi. Di conseguenza direi che una captive di questo tipo è appannaggio di aziende con qualche miliardo di fatturato. Se invece si parla di rischi non assicurati, non tradizionali, si può partire da un volume di premi tra i 700.000 € e 1 milione di €, quindi verosimilmente parliamo di aziende che hanno un fatturato annuale da 400/500 milioni di € in su.

Quali sono oggi i principali domicili delle captive?

Un’azienda italiana deve scegliere un domicilio interno all’Unione Europea, perché in altre aree avrebbe enormi problematiche dal punto di vista fiscale. All’interno di quest’area in ordine di gradimento ci sono Lussemburgo, Irlanda e Malta. Il primo, soprattutto per chi crea captive con un’ottica di risk management, sta registrando l’incremento maggiore: ha un’imposta sull’utile alta (sfiora il 30%) ma permette la sospensione d’imposta, per cui gli utili non vengono distribuiti ma nemmeno tassati e questo consente un’accelerazione della creazione di liquidità per finanziare il rischio, e quindi la captive ha possibilità di crescere più velocemente tramite creazione di riserve. L’Irlanda ha negli ultimi anni ravvisato rallentamenti collegati al rilascio di autorizzazioni e alle valutazioni di compliance, aspetti su cui il Lussemburgo è ad oggi più flessibile (anche se il grande aumento delle richieste sta rallentando leggermente i tempi anche in questo paese). Tenendo conto di tutto il processo – presentazione dossier, business plan, presentazioni e discussioni, rilascio delle autorizzazioni – mediamente oggi servono 3 mesi per avviare una captive in Lussemburgo, e tra 6 e 9 mesi in Irlanda.

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