I risk manager di fronte alla crescita dei rischi

Alberino Battagliola, Corporate Insurance Manager di FATER spa e tesoriere di ANRA, descrive a CRItalia il panorama sui rischi e sul mercato assicurativo in Italia dopo 18 mesi di pandemia.

Oltre ai problemi sanitari e ai disagi sociali, la pandemia ha portato con sé una serie di difficoltà per le imprese e il mondo del lavoro. Sono emersi rischi nuovi, e altri di conosciuti sono evoluti in forme più complesse. I risk manager hanno dovuto impiegare tutte le loro conoscenze per fornire alle imprese per cui lavorano e ai consigli di amministrazione le informazioni e gli strumenti più adatti per fare fronte a un contesto nuovo e in continuo cambiamento.

Questo momento di grande complessità si è manifestato, peraltro, in un contesto di “hard market” assicurativo, accentuando le difficoltà di confronto tra compagnie assicurative e imprese.

Su questi aspetti, CRItalia ha chiesto l’opinione di Alberino Battagliola, Corporate Insurance Manager di un gruppo multinazionale, oltre che tesoriere e past consigliere di ANRA.

In che modo la pandemia ha influito sul ruolo dei risk manager, in particolare all’interno delle organizzazioni? La pandemia ha determinato una crisi che ha nell’aspetto sanitario il fattore di rischio primario, ma come conseguenza si sono concretizzati una serie di rischi secondari, sociali ed economici.

Dal punto di vista della professione, il risk manager si è trovato in uno scenario inedito, da cui ha tratto nuovi insegnamenti. Quello che stiamo ancora vivendo diventerà un modello esemplificativo di rischio sistemico.

Senza dubbio, quindi, la pandemia ha influito sulla professione aumentando la credibilità del risk manager, chiamato a intervenire in prima linea per fare fronte a un rischio non previsto.

Se da un lato la situazione ha reso evidente la necessità della funzione di risk manager, dall’altro la nostra professione si è appesantita di una serie di oneri aggiuntivi che rendono più complesso operare.

Gli orizzonti del rischio aziendale non sono più limitati al medio termine, ma guardano ora al lungo termine: la figura del risk manager esce rafforzata da questo contesto ma anche con maggiori responsabilità, determinate dalla maggiore complessità a livello di sistema.

Il rischio è diventato un tema all’ordine del giorno, con impatti che si misurano direttamente nel quotidiano. Questo ha portato molte organizzazioni a valutare per necessità il rischio. È un’eredità della pandemia: la conseguenza di una situazione di incertezza generale sta portando a un aumento della cultura del rischio a tutti i livelli.

Dal tuo punto di vista, quali sono le attese delle imprese per la stagione dei rinnovi assicurativi? La pandemia ha influito sul rapporto tra mondo corporate e assicuratori? Il 2021 viene dopo due anni di hard market e la complessità legata agli effetti della pandemia certamente non ha migliorato la situazione, anzi direi che i tassi di crescita sono superiori a quelli del 2020.

L’impatto si misura su diversi rami, ma in particolare si registra una crescita dei prezzi sui rischi emergenti collegati alla pandemia.

È il caso del rischio cyber, un mercato che si è molto allargato rispetto a qualche anno fa e ora annovera un crescente numero di soluzioni di protezione. Il grande ricorso all’utilizzo del lavoro a distanza ha aumentato l’esposizione e il numero degli attacchi, per cui le compagnie stanno gestendo con attenzione prezzi e coperture, a scapito delle aziende.

Un altro caso potrebbero essere le polizze di Business interruption, anche se su questo punto molto dipende dalla sinistrosità dell’azienda.

Certamente è pesante l’incremento dei tassi nelle soluzioni di Liability, dove già a inizio anno la crescita era a doppia cifra rispetto al 2020.

Il mercato delle polizze D&O e W&I attraversa una fase di hard market, con una ridotta capacità assuntiva e premi in forte rialzo. Liability, D&O e cyber sono ambiti di rischio molto volatili, a differenza del Property su cui le aziende possono lavorare migliorando in modo efficace la loss prevention.

Aggiungerei le coperture sul credito, che hanno registrato anch’esse un aumento dei tassi e delle franchigie.

A fronte di un aumento dei costi sui rischi emergenti, ci saremmo attesi maggiore apertura sui rischi che hanno invece beneficiato della pandemia, come quelli legati ai viaggi o alle trasferte, che essendo stati di fatto sospesi per alcuni mesi non hanno certamente peggiorato il numero dei sinistri e l’esposizione delle compagnie.

Questo è solo un aspetto che conferma le difficili condizioni presentate alle aziende in occasione dei rinnovi di quest’anno. Le imprese si aspetterebbero un maggiore aiuto da parte delle compagnie, non è possibile immaginare un ulteriore aumento dei tassi.

Un esempio riguarda le Pmi: le compagnie potrebbero offrire a questo target un supporto nella loss prevention, con nuove formule innovative che vengano incontro alle minori capacità delle Pmi.

Nell’attuale contesto, quali sono i maggiori rischi emergenti? In senso generale, penso che il rischio maggiore da considerare a livello di sistema sia il rischio di cambiamento climatico, di cui ancora non siamo in grado di prevedere quali effetti reali porterà e in che tempi.

Torno poi a sottolineare i rischi legati alla cyber security: questo rischio comporta sia aspetti di sistema, legati a possibili attacchi su larga scala o a siti istituzionali, sia un impatto diretto sull’operatività delle imprese, nel caso diventino oggetto di attacco. Ma non solo: alcuni casi recenti di attacchi a siti istituzionali hanno comportato danni indiretti ai molti fornitori della pubblica amministrazione. Nello specifico, sono stati cancellati tutti i pagamenti delle forniture.

A livello aziendale, un rischio da monitorare con attenzione è l’aumento del costo delle materie prime e le conseguenze dell’aumento delle commodity sulle supply chain: non è un rischio che si può far pagare ai clienti, di conseguenza ne risentirà il profitto aziendale. È un rischio secondario della pandemia, che impatta sugli utili e a cui sono maggiormente esposte le imprese meno forti finanziariamente.

L’evoluzione normativa pesa sempre di più sul business. Quali sono, secondo te, gli ambiti che più preoccupano le imprese? Attualmente gli ambiti normativi che possono avere un impatto diretto e pesante sugli equilibri delle imprese sono principalmente tre.

Per ragioni di attualità, metterei al primo posto il rischio di compliance rispetto alle normative legate alla pandemia. Il rischio di contagio in azienda e ora la gestione dei cosiddetti “green pass” rappresentano per le imprese una responsabilità difficile da tenere pienamente sotto controllo e che in ogni caso pesa sull’organizzazione aziendale.

Più in generale, la normativa sulla sicurezza cyber e in particolare sulla privacy rappresentano un vincolo e un rischio importante per le imprese in caso di data-breach o di attacco ransomware.

Infine, assume sempre più rilevanza il tema della normativa ambientale, un rischio che è spesso sottovalutato dalle aziende nelle sue innumerevoli manifestazioni, spesso del tutto inattese. Le grandi imprese sono più strutturate per monitorare questo rischio, anche dal punto di vista normativo, mentre le medie e piccole necessitano di un supporto per essere pienamente conformi alle molte leggi in materia.

Non da ultimo, voglio citare i rischi di responsabilità per gli amministratori e i dirigenti, un fronte che si fa sempre più ampio.

Ci sono rischi più marcati nel mercato italiano rispetto ad altri paesi? Oltre ai rischi già citati, che sono validi in Italia come per gli altri paesi, direi che le imprese italiane si sentono più esposte alla minaccia del rischio di infortunio sul lavoro nel caso di contagio da Covid-19, al rischio cyber e alle conseguenze degli eventi climatici estremi.

Preoccupano poi i rischi regolamentari, che interessano prevalentemente gli organi amministrativi e di controllo, e il rischio di insolvenza dei crediti.

Un rischio tipico del territorio italiano è quello idrogeologico. La morfologia del territorio e la sua sismicità espongono le imprese produttive al rischio di interruzione di attività non solo se sono colpite direttamente da un evento avverso ma anche se ne viene colpita la catena di fornitura o le infrastrutture di trasporto e collegamento.

Al rischio idrogeologico, così come al rischio di eventi naturali estremi, è esposto grandemente tutto il settore del Food&Beverage, che è uno dei settori trainanti dell’economia italiana e il secondo per valore in termini di export. È un settore che vive di territorio e di annate, quindi è difficile recuperare il mercato quando si perde il raccolto di un anno.

Chiuderei con un rischio che potremmo definire di sistema, che è quello della sottoassicurazione delle piccole e medie imprese. Molte difficoltà che affliggono le aziende italiane potrebbero essere attenuate da una migliore copertura assicurativa, un tema su cui le compagnie assicurative e gli intermediari possono fare molto. Certamente, i duri colpi portati dalla pandemia alle attività imprenditoriali hanno aperto la strada a una più accentuata percezione del rischio.

Qual è oggi il ruolo di ANRA nello sviluppo della community di risk management in Italia? ANRA si è dimostrata molto attenta e vicina alla community dei risk manager in modo proattivo e puntuale, focalizzando i propri sforzi e le attività in modo sempre più presente, ad esempio con la realizzazione di una serie innumerevole di webinar.

Nell’ultimo anno, ANRA ha di fatto rafforzato il proprio ruolo di punto di riferimento di tutto il sistema di governo del rischio, confermando l’indiscussa posizione nel mercato della formazione e diffusione della cultura del risk management.

L’attenzione di ANRA si pone adesso in particolare a temi che allargano la visione del risk management, come l’interdipendenza e la complessità dei mercati, l’innovazione tecnologica, l’attenzione degli stakeholder alle misure adottate dalle imprese per garantire la sostenibilità del business nel tempo.

 

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