La qualità dei numeri elemento fondamentale per una gestione efficace della pandemia

Attitude – Behaviour – Culture: le percezioni condizionano i comportamenti, che a loro volta determinano il modello culturale. Il modello ABC, uno dei fondamenti della disciplina del Risk Management, applicato allo scenario pandemico mostra come non sia possibile effettuare valutazioni corrette e trovare soluzioni efficaci senza partire da informazioni corrette. I numeri e i modelli statistici, dopo essere stati per anni appannaggio delle comunità scientifiche, dall’inizio della pandemia sono diventati il principale strumento di comunicazione, hanno pervaso i media, usati come fotografia dello status quo, come base per prendere decisioni sulla vita dei cittadini e delle imprese, persino come supporto per risolvere dilemmi etici. Tuttavia, come qualsiasi linguaggio, non possono essere interpretati correttamente senza conoscerne il codice: comprendere i numeri non è mai stato così essenziale come lo è oggi, per analizzare lo scenario attuale e prevedere gli sviluppi futuri, per indirizzare azioni e comportamenti. Per gestire i rischi. E’ stato questo l’argomento al centro di un webinar organizzato da ANRA con un panel d’eccezione: Massimo Galli, Professore Ordinario di Malattie Infettive dell’Università di Milano e Direttore della Divisione Malattie Infettive dell’Ospedale Sacco, Gian Paolo Oneto – Direttore Area Statistica Economica ISTAT, Fabrizio Capaccioli – Amministratore Delegato Asacert e Consigliere Green Building Council Italia, Alessandro De Felice – Presidente ANRA e Chief Risk Officer Prysmian Group.

“Analisi del rischio, mitigazione, quantificazione: questo processo è un’attività quotidiana per un Risk Manager, ma oggi è vitale per chiunque” ha detto in apertura De Felice. Il modello ABC (Attitude – Behaviour – Culture) mostra come le percezioni condizionino i comportamenti, che a loro volta determinano la cultura del rischio: è chiaro quindi che non è possibile fare valutazioni e riflessioni corrette su una situazione senza partire da informazioni corrette. “Ma le nostre percezioni, a causa della sovrabbondanza di dati – a volte contrastanti – provenienti da più fonti di comunicazione, potrebbero essere influenzate da falsi miti e pregiudizi cognitivi, che devono essere identificati e riconosciuti” ha aggiunto De Felice.

Una delle questioni su cui più si è concentrata la comunicazione di questi mesi è: qual è il reale tasso di mortalità del Covid19? Osservando la percentuale italiana, è scesa dal 14% di aprile al 4% di metà novembre. Va però considerato che in primavera i laboratori sono stati in grado di eseguire non più di 70.000 tamponi al giorno, mentre attualmente il numero quotidiano medio arriva a 220.000. Campioni statistici più ampi di solito danno risultati più realistici, è quindi presumibile che la percentuale attuale rappresenti il ​​reale tasso di mortalità del Covid19? Se avessimo potuto eseguire un numero simile di tamponi in aprile, i risultati sarebbero stati gli stessi? Secondo Massimo Galli, in una tale eventualità avremmo probabilmente registrato una letalità 5 volte superiore, ma non è così semplice: bisogna anche considerare che è cambiato il denominatore, visto che ad aprile sono stati testati solamente i casi più gravi, mentre oggi 30/40% delle persone controllate è asintomatico. Inoltre, la possibilità di offrire cure migliori e precoci sta riducendo i decessi. Secondo Galli, quando i laboratori sanitari italiani saranno in grado di tracciare tutti i positivi al Covid19, il suo tasso di mortalità definitivo sarà intorno al 2/3%, e un discorso analogo può essere esteso anche agli altri paesi europei.

Un’altra domanda chiave è: le misure attuali, con restrizioni locali e provvedimenti differenziati per regione, risulteranno efficaci? Dopo settimane di crescita esponenziale, l’Italia sta effettivamente assistendo a una stabilizzazione della curva dei contagi. Questi due fattori sono direttamente collegati? Secondo Galli, gran parte del merito del rallentamento dei contagi va attribuito ai comportamenti delle persone: è ormai assodato che la seconda ondata è stata una diretta conseguenza della libertà di cui abbiamo ingenuamente goduto durante l’estate, e questo ha spinto le persone a capire l’importanza dell’attenzione e del rispetto delle misure consigliate. È uno scenario completamente nuovo e inedito, e secondo il metodo scientifico non si può dire che una misura funziona finché non ci sono prove certe dei suoi effetti. Non è quindi possibile confermare che le chiusure mirate siano realmente efficaci, poiché l’unica misura che ha veramente migliorato la situazione è stato il lock down primaverile. Inoltre – avverte Galli – anche se il rallentamento dei contagi ci consentirà di riprendere alcune libertà durante il periodo natalizio, non ci sarà permesso tornare ai comportamenti estivi, altrimenti dobbiamo essere preparati ad un altro periodo critico come quello che stiamo vivendo. “L’unica soluzione finale per tornare alla normalità sarà il vaccino, e dobbiamo ancora essere pazienti” ha concluso Galli.

Proseguendo con i quesiti che hanno totalizzato l’attenzione di questi mesi: si può affermare che i test molecolari siano affidabili? Potrebbero rappresentare un valido strumento di mitigazione? Dal punto di vista del Risk Manager, avere la possibilità di testare un’ampia parte della popolazione in modo rapido e semplice, con un alto livello di precisione, costituirebbe uno strumento molto importante per il controllo della catena dei contagi e per identificare precocemente i focolai, il che permetterebbe di garantire la continuità delle attività. Secondo Galli, al momento i test molecolari sono la migliore opportunità possibile: anche se alcuni scienziati discutono sulla loro attendibilità, la loro potenziale copertura è un beneficio di gran lunga superiore ai dubbi. “Quando un Paese supera i 1000 casi giornalieri – aggiunge Galli – scompare ogni possibilità di tracciamento. Inoltre, i laboratori pubblici non sono in grado di eseguire più di un certo numero di tamponi al giorno, quindi le aziende, gli uffici pubblici e le scuole dovrebbero potersi attrezzare e organizzarsi per controllare il proprio personale, in modo da garantire il più possibile l’identificazione precoce di casi e focolai Covid19. Questa misura, coadiuvata dall’osservazione clinica per casi dubbi, rappresenterebbe una scelta virtuosa e vantaggiosa per i luoghi di lavoro”.

È vero che Covid19 colpisce soprattutto le persone anziane? Isolarli potrebbe rappresentare una soluzione? “Anche in questo caso partiamo dai numeri – prosegue Galli – su 60 milioni di italiani, quasi 18 milioni hanno più di 60 anni e molti di questi sono ancora attivi e produttivi. Se aggiungiamo anche le persone over 50 arriviamo a 27 milioni, quasi la metà dell’intera popolazione. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, i 50enni registrano un tasso di mortalità al Covid19 del 3,45%: può sembrare basso, ma non lo è se consideriamo, ad esempio, che guidando lungo la A1 (una delle più trafficate autostrade) ha un potenziale tasso di mortalità dello 0,002%. Inoltre, è effettivamente impossibile gestire 18 milioni di persone isolate: chi si prenderebbe cura di loro e delle loro necessità pratiche? Chi li assisterebbe? Non considerando poi gli aspetti etici. È ormai chiaro che non è affatto una soluzione possibile”.

Alcuni studi su possibili vaccini stanno dando buoni risultati e secondo Galli il 2021 potrebbe portare una soluzione. Intanto aziende e professionisti cercano di gestire l’emergenza. Secondo Gian Paolo Oneto, Direttore Area Economica dell’ISTAT, durante il lock down primaverile il 45% delle aziende italiane ha sospeso l’attività, il 41,4% ha dichiarato un fatturato più che dimezzato, il 51,5% si aspetta una mancanza di liquidità per le spese correnti dell’anno e il 38% segnala rischi operativi e di sopravvivenza. Una situazione molto critica, che però rivela anche alcuni segnali incoraggianti. Per fronteggiare la crisi, infatti, le aziende sono alla ricerca di nuove soluzioni, dalla riorganizzazione degli spazi e dei processi (23,2%) alla modifica o ampliamento delle modalità di fornitura di prodotti e servizi (13,6%), fino all’adozione di nuovi modelli di sviluppo focalizzati su l’ammodernamento tecnologico delle attività (40%). Tuttavia, vengono ancora considerato e gestite come soluzioni autonome, e uno dei prossimi passi necessari sarà strutturarle in una vera strategia integrata per il futuro.

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