Brexit e pandemia: una tempesta perfetta

Alberto Batini gestisce la sede londinese di BTG Legal (Batini Traverso Grasso & Associates), studio legale milanese specializzato in diritto assicurativo internazionale. A Londra Batini si concentra sulle esposizioni italiane detenute da assicuratori, riassicuratori e società del mercato londinese. Maria Moro, per Commercial Risk, gli ha chiesto di delineare la situazione delle aziende italiane a sei mesi dall’entrata in vigore della Brexit.

Maria: Dopo questo primo periodo, in che modo si sta delineando lo scenario per le imprese italiane?

Alberto: Molti operatori britannici si sono mossi con anticipo rispetto alla data originaria del 29 marzo 2019, spostando i propri uffici nel continente europeo – in particolare in Belgio, Paesi Bassi, Irlanda e Lussemburgo – al fine di mantenere i propri “passport rights” nei paesi europei.

Diversa la situazione delle imprese con sede nell’UE che volevano continuare a operare nel Regno Unito. Il governo italiano aveva approntato misure specifiche in caso di “hard Brexit” con il decreto legge 22 marzo 2019, una disposizione temporanea per permettere agli intermediari assicurativi e finanziari di continuare ad operare per 18 mesi. Il periodo è stato poi esteso a 3 anni, anche grazie alle disposizioni emanate dall’Ivass, l’Istituto Italiano per la Vigilanza sulle Assicurazioni, di concerto con Eiopa e Regno Unito.

È stato introdotto uno schema transitorio post-Brexit, il Temporary Permission Regime, in base al quale le società operanti nei settori regolamentati hanno 36 mesi, a partire dal 1° gennaio 2021, per gestire eventuali run-off assicurativi, regolarizzare la propria posizione e adeguare il proprio mercato, sia che decidano di rimanere nel Regno Unito sia che preferiscano lasciare il paese.

Al contrario, le aziende che operano in settori non regolamentati incontreranno minori restrizioni, perché non soggette a vigilanza, ma risentiranno di un impatto maggiore in termini fiscali e doganali. Alcune aziende che avevano un mercato in crescita nel Regno Unito hanno deciso di fondarvi una società, una scelta più semplice e che consente loro di accedere al mercato finanziario locale con maggiore facilità. In prospettiva, si avvierà un processo di graduale disallineamento tra la normativa UE e quella britannica, ponendo ulteriori ostacoli agli operatori di entrambi i settori.

L’impressione è che al momento non sia possibile comprendere quali saranno gli effetti concreti della Brexit, se Londra potrà rimanere un hub centrale per il mondo finanziario ed economico, o se la sua centralità sarà soppiantata da altre città europee che già oggi hanno un elevato profilo finanziario come Francoforte, Amsterdam, Parigi o Milano.

Maria: Quali settori sono più interessati dall’impatto economico?

Alberto: Dagli anni ’80, l’interscambio con il Regno Unito ha sempre portato un saldo positivo per l’Italia, con un valore delle esportazioni in continua crescita che ha raggiunto i 25 miliardi di euro nel 2019, mentre le importazioni sono rimaste sostanzialmente stabili (10 miliardi di euro nello stesso anno). Nel complesso, tuttavia, l’impatto sull’economia italiana potrebbe essere meno grave rispetto ad altri paesi europei con quote di esportazione molto più elevate verso il Regno Unito, come Irlanda, Paesi Bassi, Spagna o Germania.

Tra i settori forti emergono le specializzazioni italiane nel settore energetico, grazie a molti progetti nel comparto delle rinnovabili, della salute e assistenza, dei macchinari e del food & beverage, che da solo vale 3,4 miliardi di euro. L’Italia, invece, è attrattiva per il turismo e lo spettacolo, mentre soffre di una bassa internazionalizzazione del settore manifatturiero. Paradossalmente, questo punto debole mantiene ridotto il rischio di ritiro di capitali britannici, meno presenti in Italia rispetto ad altri paesi dell’Unione. Sul totale degli investimenti diretti esteri nel nostro paese, ci sono circa 6mila società straniere che investono in 11mila aziende italiane, per un fatturato che supera i 400 miliardi di euro.

Maria: Dal punto di vista della regolamentazione commerciale la situazione è più semplice?

Alberto: Il successo nel mantenimento delle quote di export dipenderà dall’evoluzione delle regolamentazioni doganali, che in base agli accordi del “divorzio” non prevedono dazi ma sono comunque appesantite da un’eccessiva burocrazia, con esiti non vantaggiosi per entrambe le parti.

Uno dei possibili scenari futuri è l’abolizione dell’IVA nel Regno Unito. Al momento questa sembra una possibilità remota, ma prima o poi il Regno Unito dovrà certamente lasciare l’area IVA dell’UE, rendendo il commercio internazionale soggetto a dazi e accise che attualmente non sono previsti dagli accordi del divorzio. Per ora prevale il vantaggio di aver incorporato la regolamentazione UE nella legislazione britannica per attenuare il possibile shock dell’uscita.

La Brexit potrebbe invece rivelarsi un’opportunità per il back-shoring di capitali italiani precedentemente collocati nel Regno Unito. Sono oltre 1.600 le imprese britanniche con partecipazioni italiane, il 5,5% degli impegni italiani all’estero, per un fatturato di 23 miliardi di euro. Questi capitali potrebbero essere incentivati a ricollocarsi in Italia se le condizioni di mercato dovessero cambiare e le difficoltà nel trasferimento di personale dovessero aumentare

Finora il governo italiano non ha elaborato una strategia lineare in questo senso. Ha introdotto agevolazioni fiscali per il rientro dei lavoratori qualificati impiegati in Gran Bretagna ma non per le aziende. Al contrario, tutti e tre gli ultimi governi britannici hanno adottato misure per incentivare il capitale straniero a rimanere nel paese.

Presumibilmente, nel prossimo futuro il Regno Unito rafforzerà le relazioni commerciali con i paesi del Commonwealth, oltre a definire veri e propri trattati commerciali con i paesi dell’Unione europea.

Maria: Quali sono le prospettive per le aziende che vogliono continuare ad operare in UK?

Alberto: La pandemia ha anestetizzato un po’ tutti i problemi legati alla Brexit, che tuttavia persistono. Molte aziende stanno cercando di capire rapidamente fino a che punto la Brexit avrà un impatto sulle loro strategie di investimento, ma il quadro determinato dalla pandemia rende tutto più complesso. In questa fase, la cosa migliore è assumere esperti nel proprio settore di attività per monitorare periodicamente l’andamento del mercato.

Per le aziende che vogliono investire in Gran Bretagna, è ancora relativamente semplice avviare un’impresa commerciale. I costi sono contenuti, non è richiesto un direttore locale, la registrazione per ottenere una partita IVA non è obbligatoria per fatturati inferiori a 85 mila sterline, l’IVA è bassa e, in generale, tutte le operazioni di capitale sono incentivate.

Maria: Quali suggerimenti può dare relativamente ai contratti assicurativi?

Alberto: Le compagnie assicurative inglesi che operano in Italia sono 53, hanno un portafoglio premi per 1,7 miliardi di euro e gli italiani assicurati con loro sono circa 10 milioni. Ora sono considerate operatori di stato terzo e devono avere l’autorizzazione da Ivass “extra Spazio Economico Europeo” operando in regime di stabilimento autorizzato. Al contrario, le società con sede legale nell’Unione Europea possono continuare ad operare in regime di stabilimento e in libertà di prestazione di servizi.

Queste compagnie, entro quindici giorni dalla fine del periodo di transizione, hanno dovuto informare i contraenti, gli assicurati e gli altri aventi diritto a prestazioni assicurative, del regime di operatività a esse applicabile, anche mediante comunicazione sul proprio sito istituzionale.

Entro 90 giorni dalla fine del periodo transitorio, sono tenuti a presentare all’Ivass un piano contenente le misure che consentano loro di eseguire correttamente i contratti, compreso il pagamento dei sinistri. Inoltre, ogni anno dovranno presentare all’ente una relazione sullo stato di attuazione del piano. I consumatori possono recedere senza oneri aggiuntivi dai contratti di durata superiore a un anno e il recesso avrà effetto dalla scadenza della prima annualità successiva. Inoltre, non è più possibile avvalersi di clausole di tacito rinnovo.

È cambiato anche il regime dei reclami e sono ora in uso normative specifiche per i broker e gli intermediari. Per superare queste difficoltà, la tendenza delle compagnie anglosassoni è quella di aprire imprese di assicurazione e riassicurazione in Europa, sulle orme di quanto già fatto nel 2019 dai Lloyd’s, con il trasferimento dei contratti dell’Unione Europea a una nuova entità creata appositamente a Bruxelles.

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