Global Risk Forum: Risk Manager italiani a confronto sugli scenari post pandemici

Quali strategie e quali nuovi modelli di gestione dei rischi prenderanno piede nel contesto post pandemico? Da questa domanda ha preso avvio il Global Risk Forum 2021, l’appuntamento annuale organizzato da Business International con il patrocinio dell’ANRA, l’Associazione nazionale dei Risk e Insurance Manager.

Carlo Cosimi, Presidente ANRA, spiega “La pandemia ha rappresentato un evento disruptive, ma ci ha anche riportato con i piedi per terra, ci ha fatto riflettere come gran parte dei rischi sistemici che ogni anno sono riportati nel Global Risk Report siano sempre stati sottostimati. Uno di questi è la pandemia, ma di molti altri stiamo ancora oggi vivendo forti segnali, ad esempio per le instabilità politiche, i movimenti sociali, il climate change”. Anche secondo Massimo Livatino, Docente dell’Università Bocconi e moderatore dell’evento, la pandemia non ha rappresentato sotto certi aspetti una rivoluzione ma anzi un rafforzamento di tendenze che erano già evidenti. La prima è che le aziende meglio attrezzate in termini di processi e risorse umane per affrontare i cambiamenti disruptive sono quelle che reagiscono meglio a emergenze e crisi. Secondariamente, che i sistemi di controllo interno e le procedure di gestione dei rischi sono utili anche nei momenti di minore stress e anzi, sono questi i momenti che vanno sfruttati per investire e lavorare con calma. La pandemia ha infatti insegnato a persone e organizzazioni che devono abituarsi a ragionare su scenari bad/worst e prepararsi a essi. Nonostante quanto accaduto negli ultimi mesi abbia dato ai Risk Manager visibilità come mai in passato, ci sono ancora passi avanti da compiere per arrivare a un pieno riconoscimento della professione – sostiene Levatino. Manca nei fatti una legittimazione del Chief Risk Officer come C-level, spesso permane confusione tra gli ambiti del risk management e quelli dell’internal audit, alcuni board ancora non riconoscono l’importanza strategica dell’Enterprise Risk Management, che talvolta viene ancora percepito e applicato come elemento di compliance. Infine, mancano a livello di sistema metodi di incentivazione realmente efficaci per chi applica una buona gestione dei rischi.

Ci sono però aziende che hanno dimostrato di interpretare e saper applicare nel modo giusto il risk management, e per di più in un ambito che nell’ultimo anno è stato al centro di un forte stress, come quello sanitario. E’ il caso di Astellas Pharma, azienda farmaceutica giapponese con presenza globale, rappresentata al Global Risk Forum da Giuseppe Maduri, General Manager. I principi su cui è stata strutturata la gestione dei rischi nell’azienda sono tre: crossfunzionalità, delega – perché “non serve avere comitati e sottogruppi se poi tutto rimane accentrato in alto, e la cultura della gestione del rischio non viene diffusa capillarmente” spiega Maduri, e accountability, cioè la necessità che ogni persona coinvolta abbia padronanza e consapevolezza del proprio ruolo. “Il risk manager in questo contesto è il pivot, il perno: ha un ruolo strategico e non di processo, e non tutta la responsabilità del rischio deve ricadere su di lui. Gli amministratori delegati stessi devono supportarlo essendo un role model: devono essere i primi a dimostrare il rispetto e ad incarnare i valori che vuole siano rispettati dalle sue risorse, anche in ambito di gestione dei rischi” aggiunge Maduri. Altra best practice da cui prendere spunto, rimanendo nello stesso settore, è quella di Novartis, azienda multinazionale svizzera che opera nel settore farmaceutico. “In Novartis abbiamo creato una community interna, composta da una sessantina di persone con seniority e competenze diverse, in cui si condividono le singole prospettive e ci si confronta sui rischi, con una prospettiva bottom up” spiega Marilena Arinisi, Ethics, Risk & Compliance Country Head, Novartis.

Strettamente correlata alla gestione del rischio è la tematica della sostenibilità, che riguarda tutte le tipologie di organizzazioni, anche quelle che della sostenibilità sono abilitatori e costruttori. Giulio Ballarini, VP Sales & Country Manager di Software AG, fornitore di infrastrutture software per il business, pone una domanda provocatoria: tutti questi software che le aziende stanno implementando per aumentare la sostenibilità, sono realmente sostenibili? “I software necessitano, per poter funzionare, di essere applicati ad un hardware, e qui nasce il problema. Il solo sistema della blockchain attuale per funzionare consuma una quantità di energia pari a quella che serve all’intera Svizzera. Entro il 2040 il 40% delle emissioni globali di CO2 sarà collegabile alle aziende ICT” spiega Ballarini. Quando si crea e/o si applica un nuovo software bisogna dunque chiedersi quali saranno i suoi impatti a lungo termine, e quanto consumerà. “Oggi i datacenter consumano il 2% dell’energia globale, ma si stima che continuando con i ritmi di sviluppo del cloud attuali nel 2030 ne consumeranno il 30%” aggiunge Ballarini.

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