Secondo i risk manager la ripresa economica dipenderà dalla crisi energetica
Stefano Scoccianti, enterprise risk manager di Hera SpA racconta a CRItalia perché la crisi energetica europea è un rischio così importante per le aziende europee
Uno dei rischi più concreti per l’economia europea è oggi rappresentato dall’aumento dei costi dell’energia. Il tema è particolarmente complesso ed è all’attenzione di tutti i governi dei singoli paesi e dell’Unione Europea: i primi impatti negativi si stanno già manifestando e il timore è che l’inverno peggiori la situazione.
La crisi in atto è l’esito di una serie di fattori, incluso l’allontanamento dai combustibili fossili, che concorrono nella stessa direzione, determinando delle concrete difficoltà del mercato. In questo scenario complessivo, le fonti rinnovabili, per quanto necessarie, non si stanno mostrando ancora come un’alternativa sicura.
Sulle ragioni dell’aumento dei prezzi dell’energia e sulla prospettiva per i prossimi mesi abbiamo parlato con Stefano Scoccianti, enterprise risk manager nella multiutility italiana Hera Spa,.
In quale scenario è maturata la crescita del prezzo dell’energia? Lo scorso anno, il forte rallentamento generalizzato del sistema produttivo globale ha provocato un crollo di consumi energetici e quindi delle quotazioni dell’energia. A titolo di esempio, il prezzo del gas all’ingrosso in Italia- che guida anche il prezzo dell’energia elettrica – è passato dai livelli di 15-20 euro MWh (megawattora) a prezzi inferiori a 5-10 euro MWh. Con la ripresa ci si attendeva a partire dallo scorso inverno un aumento dei prezzi, che in effetti si sono riportati sui valori medi.
Successivamente, la ripartenza dell’economia globale è stata molto forte, soprattutto nel Far East, e questo ha portato a una crescita del consumo di gas e di energia in quelle aree. A tale dinamica si è affiancata una crescita della domanda, determinata anche da un aumento del consumo nell’Europa centrale e settentrionale causato da un inverno più rigido, nonché da un concomitante calo della produzione di energia eolica per ragioni meteo-climatiche. Così la stagione invernale del gas, che normalmente va da novembre a marzo, si è protratta fino ad aprile, andando a intaccare le scorte di gas, tanto che a fine aprile in Europa gli stoccaggi erano a livelli ben al di sotto della media storica.
Quali invece le alterazioni sul lato dell’offerta? Anche dal lato dell’offerta si è assistito ad alcuni fenomeni concomitanti. In primo luogo, fino all’agosto scorso si è avuta in Europa una riduzione di circa il 10% della produzione media di gas. A ciò si deve aggiungere una riduzione dell’approvvigionamento del gas liquefatto, che arriva via nave principalmente da Qatar, Nigeria e Usa: di fronte all’aumento della richiesta da parte dei paesi dell’Asia pacifica, le forniture hanno preso la rotta del Far East. Un terzo aspetto riguarda la Russia, che sta adempiendo agli obblighi contrattuali con i paesi europei ma non intende per ora – o non può – aumentare le forniture.
In ogni caso, non risulta che si siano verificati sul mercato dei comportamenti distorsivi dei prezzi da parte degli operatori in violazione della direttiva europea Remit (Regulation on Energy Market Integrity and Transparency), che impone una disclosure ai player energetici finalizzata proprio a far emergere possibili condotte che alterino la concorrenza.
Quando è iniziato l’andamento anomalo dei prezzi? Il mercato stava già tendendo all’aumento nel maggio scorso, ma le cose sono rapidamente cambiate. Se a giugno il prezzo di vendita di energia elettrica al MWh per il 2022 era di 70-75 euro, oggi è raddoppiato, a causa principalmente del costo del gas. Tra le diverse componenti che hanno influito sui prezzi dell’energia elettrica va considerato anche il costo di acquisto delle quote dei permessi di emissione di anidride carbonica, che è cresciuto dopo che l’Unione Europea ha rivisto gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030, incidendo di conseguenza sui prezzi.
Si tratta di una tendenza strutturale o ci si attende che il rialzo dei prezzi rientri? Secondo gli analisti del settore, dopo l’inverno la situazione potrebbe tornare a un andamento normale. A questo contribuirebbero le aperture dei nuovi canali di approvvigionamento del Nord Stream 2 e la piena capacità del gasdotto TAP dall’Azerbaijan. Guardando al prossimo anno però ci sono ancora delle incognite che rappresentano potenziali rischi per la situazione. Da un lato, a causa dell’aumento dei prezzi e della limitazione di disponibilità energetica, la Cina ha già iniziato a ridurre alcune produzioni energivore, mentre anche nei paesi europei vi è la possibilità che alcuni produttori riducano o fermino produzioni energivore perché in questa fase non risultano convenienti. La crisi energetica potrebbe quindi determinare un impatto negativo sulla velocità della ripresa post-pandemia. In ogni caso, la normalità potrebbe arrivare nel corso del 2022. Alcuni osservatori ipotizzano un rischio strutturale per il petrolio che, a causa di una progressiva riduzione degli investimenti negli anni scorsi in conseguenza dei bassi livelli di prezzo, soddisferebbe la domanda in condizioni di alti livelli di prezzo.
Quali altri rischi potrebbero manifestarsi in questo contesto? Una variabile che non è possibile prevedere è certamente l’andamento della stagione invernale, perché in caso di mesi molto freddi il rischio è un’ulteriore impennata dei prezzi. Per le industrie energivore, un rischio è legato all’ipotesi che nei budget non sia stato previsto di bloccare la componente prezzo così da garantire la profittabilità. Al contrario, per le utility del settore energetico il rischio è di aver venduto con un prezzo non allineato all’aumento dei costi, una situazione di mercato che, ad esempio, sta portando al fallimento alcune società di vendita mass market di energia nel Regno Unito. Per chi vende energia un’altra incognita è il rischio di credito, legato alle possibili difficoltà economiche dei clienti energivori. Infine, c’è un rischio finanziario determinato dall’impatto dell’aumento dei prezzi in relazione al fabbisogno di capitale circolante e di onerosità di garanzie da fornire alle controparti.
Quale ruolo possono avere le fonti rinnovabili in questo contesto? In zone come l’Italia, e in genere d’estate, l’impatto delle fonti rinnovabili sui prezzi comincia a farsi sentire. Stanno raggiungendo una rilevante quota di mercato in periodi e in ore specifici. Tuttavia solo il gas può garantire il soddisfacimento del fabbisogno quando ci sono i picchi di consumo, per questo è proprio il gas a orientare il mercato dell’energia elettrica. Il vero tema delle rinnovabili è la variabilità della produzione in relazione alla variabilità meteo-climatica: tra le cause che hanno determinato l’aumento dei prezzi dell’energia rientra il forte calo della produzione eolica nei grandi campi marini del nord, in Germania e in Danimarca, a causa di una diminuzione del vento nel corso del 2021.
In prospettiva, nei prossimi 10-15 anni l’impatto delle rinnovabili andrà crescendo e potrà influire per calmierare eventuali nuove impennate dei prezzi. Va in ogni caso considerato che ad oggi le tecnologie per l’accumulo e la conservazione dell’energia da fonti rinnovabili sono nella fase di sviluppo e risultano al momento economicamente non competitive, ma potranno svolgere un ruolo rilevante nel corso dei prossimi anni. Infine, sarà da considerare l’introduzione dell’idrogeno come fonte energetica integrativa o sostitutive del gas, in particolare per decarbonizzare i settori industriali energivori e difficili da elettrificare.