L’Italia non è (ancora) un Paese per captive

L’Italia, fino ad oggi, non è mai stata un paese attrattivo per le captive. Una delle ragioni principali è la mancanza di un quadro normativo e regolamentare ad hoc, contesto che non favorisce un’operazione di investimento a medio/lungo termine quale, appunto, la creazione di una captive. Sicuramente l’armonizzazione della normativa IVASS agli standard europei seguita a Solvency II ha creato una situazione più favorevole, ma non basta. ANRA e Zurich ne hanno parlato in un evento, focalizzandosi in particolare sulla soluzione delle PCC (Protected Cell Company).

Come ha spiegato Giacomo Mariani, Sales broker Big brokers & CI Customers Zurich Insurance Group Italia, le captive globalmente hanno registrato una crescita costante dal 2005 al 2015, per poi stabilizzarsi fino al 2018. Un discorso differente vale per le protected cell captive, il cui numero ha continuato ad aumentare anche negli ultimi anni e ha guadagnato in percentuale sulle captive tradizionali. Una protected cell captive (PCC) è una compagnia assicurativa stand alone costituita da una cella centrale e un numero illimitato di celle indipendenti “rented”. La cella centrale può fornire la capitalizzazione necessaria ed è fondamentalmente indipendente dalle altre, così come i diritti e le responsabilità di una cella sono legalmente separati da quelli delle altre. Lo scopo delle PCC è combinare i vantaggi della modalità Rent-a-Captive con quelli di una Single Parent Captive, proteggendo ogni cella dall’instabilità finanziaria delle altre.

I vantaggi di una captive tradizionale sono noti, soprattutto in un periodo di hard market in cui molti rischi non trovano copertura sul mercato oppure possono essere assicurati ma a costi decisamente più alti rispetto a qualche anno fa. Tra i principali vi è una riduzione del costo totale del rischio, più flessibilità nella gestione dei rischi, la possibilità di ridistribuire i profitti all’interno della casa madre e una maggiore trasparenza sui dati relativi a sinistri e reclami, che altrimenti sarebbero detenuti dall’assicuratore. “Tutti questi vantaggi valgono anche per le PCC, che però garantiscono ulteriori benefit grazie alla loro struttura” spiega Mariani. Nelle PCC la parte captive viene sostituita dalla protected cell company, il core, che può capitalizzare le celle – in alternativa le celle possono essere capitalizzate dall’assicurato. Tutti gli asset e le responsabilità relativi a una singola cella sono indipendenti tra loro legalmente e finanziariamente, il che costituisce un vantaggio nel caso in cui una cella dovesse avere problemi o registrare andamenti negativi. In più, le PCC risultano più semplici da implementare e utilizzare, dal momento che hanno costi meno elevati di una captive tradizionale e un iter burocratico più snello.

A raccontare un esempio di utilizzo di una PCC è Paolo Terazzi, Group Accounting & Finance Director Amplifon, società italiana leader globale nell’hearing care, presente in cinque continenti con core business in Nord America, Asia dell’Est ed Europa. L’esigenza della società era quella di dotarsi di una soluzione su misura che potesse aiutare a incrementare le vendite al dettaglio mantenendo la redditività delle attività assicurative del gruppo, permettendo di gestire l’attività assicurativa nel pieno rispetto della compliance e consentendo di gestire il rischio intrinseco di riassicurazione. Optare per una PCC ha consentito un avvio immediato, efficienza in termini di requisiti patrimoniali, struttura fiscale e gestione dei dividendi, una ripartizione del rischio con la compagnia (Zurich) e un consolidamento della PCC nel gruppo.

“Se le società italiane mostrano di apprezzare lo strumento delle captive in misura sempre maggiore, tuttavia l’Italia fatica ancora a posizionarsi come domicilio realmente vantaggioso” riassume Carlo Cosimi, Presidente ANRA. In Italia non esiste ancora una normativa ad hoc, come invece avviene in Lussemburgo, Irlanda e Malta. “E’ possibile registrare una captive, ovviamente, ma non con una licenza ad hoc, bensì con una licenza commerciale, il che implica che la società deve rispondere ai requisiti Solvency II ma anche a tutti gli adempimenti regolatori a cui sono tenute tutte le compagnie di mercato. Attualmente, è ancora un forte disincentivo a scegliere l’Italia come domicilio” spiega Cosimi.

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