Transizione energetica e trasformazione digitale abilitatori della sostenibilità

La terza giornata dei lavori del XXI Convegno Annuale di ANRA è stata dedicata ad un approfondimento sui nuovi rischi della transizione energetica e della digitalizzazione, due esempi di come la figura del risk manager deve assumere la capacità di evolvere e seguire il cambiamento, spesso interpretandolo prima di altri nell’impatto sulla propria impresa.

I due rischi citati fanno parte di un contesto globale che è in rapido cambiamento su più fronti, ma una base che accomuna molte delle future minacce è il cambiamento climatico ed in particolare il suo impatto rispetto alle catastrofi naturali, tema di cui ha parlato in apertura Fabio Petruzzelli, Natural Hazards Manager, AXA XL Risk Consulting, suggerendo soluzioni per quantificare e mitigare i rischi fisici.

Catastrofi naturali e cambiamento climatico sono gli eventi che oggi portano le maggiori perdite economiche e umane. Secondo i dati presentati le perdite economiche annue derivate da catastrofi naturali sono state stimate in 200 miliardi di dollari nel decennio 2010-19 e tale è stata anche la perdita registrata nel 2020 (mentre tali impatti si attestavano in circa  27 miliardi all’anno nel periodo 1970-80). Anche da un punto di vista climaticvo, Iil 2020 non ha fatto eccezione nonostante le lunghe chiusure in molti paesi, con una crescita delle concentrazioni di gas serra attese in ulteriore aumento per gli effetti della ripartenza; inoltre, ha ricordato Petruzzelli, il 2020 è stato anche l’anno con la temperatura più alta mai registrata nel circolo polare artico. L’impatto del cambiamento climatico in termini di vite umane è considerevole: nei primi 20 anni del secolo sono 1,25 milioni le vittime di catastrofi naturali ed è in continuo aumento il numero di migranti e sfollati per la stessa causa.

L’IPCC ha disegnato scenari in qualche modo noti, da cui emerge chiaramente che la mitigazione dei rischi fisici non è negoziabile, perché questi impattano direttamente sulla società umana, a partire dalla catena alimentare. Per contro, i percorsi alternativi che prevedono la mitigazione ed adattamento al cambiamento climatico, pongono considerevoli rischi di transizione ead a loro volta potenziali impatti economici. La soluzione da perseguire sta nel rendere la società più resiliente, meglio se in un contesto di anti-fragilità per uscirne più forti.

“Il framework proposto da AXA XL Risk Consulting identifica quattro approcci, finalizzati ad anticipare, rispondere nell’emergenza e operare per il ripristino delle condizioni antecedenti ad eventi catastrofali o climatici acuti, o persino migliori. Il primo passo è identificare e prioritizzare i rischi catastrofali, si passa poi a un’analisi di portafoglio (portfolio Cat-modelling) che permette di stimare gli impatti finanziari aggregati delle catastrofi naturali, a questo segue un approccio di risk engineering che include sia analisi numeriche a tavolino che visite ispettive, infine si attiva la fase di monitoraggio e risposta, finalizzata a dare sostenere la continuità del business”, ha spiegato Petruzzelli.

Gli strumenti che forniscono un’analisi trasparente del rischio sono particolarmente utili in un paese come l’Italia, che per la propria struttura morfologica ha una forte esposizione ai rischi fisici, e possono essere un supporto decisionale per i risk manager.

 

Transizione energetica: rischi e opportunità di un’evoluzione obbligata

La transizione verso un’economia low carbon comporta inevitabilmente una serie di rischi sia per il settore finanziario che per il mondo delle imprese, in qualche modo obbligate a ripensarsi in un’ottica di maggiore sostenibilità per non perdere credibilità e competitività sui mercati. Proprio perché ci si muove in uno scenario che è nuovo, inedito e quindi con prospettive incerte, adottare strategie che portino alla transizione energetica richiede uno studio attento dei potenziali rischi, che saranno multiformi e diversi tra loro e che per questo richiedono un approccio integrato. Se ne è parlato alla tavola rotonda “Transizione energetica: rischi e opportunità di un’evoluzione obbligata” a cui hanno partecipato, moderati da Andrea Cabrini, Guido Alfani, General Manager di Carbonsink, Fabrizio Botta, Director of Global Strategy E&C Onshore Division di Saipem, Fabrizio Capaccioli, Managing Director Asacert e Vice Presidente Green Building Council Italia.

Per raggiungere gli obiettivi della transizione energetica e della sostenibilità le imprese non possono affidarsi ad una soluzione unica: la tematica è complessa e va affrontata in maniera trasversale, con urgenza ma anche con adeguate strategie e lungimiranza. Due aspetti che incidono in maniera importante sono quello regolatorio e la modellistica: nel primo caso si procede in parallelo alla corsa già avviata dalle imprese, che quindi si muovono in base a criteri che rientrano certamente in logiche già esistenti ma non ancora pienamente inquadrate, nel secondo caso con una pluralità di proposte tra le quali orientarsi.

Uno schema su cui muoversi necessariamente, ha evidenziato Fabrizio Botta, “è quello della trasversalità dell’approccio a tutti i livelli per quella che si sta impostando come una corsa contro il tempo che presenta rischi e altrettante opportunità”. Lo scenario è quello di un atteso incremento del 5-10% della domanda di energia a cui corrisponde la richiesta di ridurre le emissioni di CO2 del 50% nei prossimi 10 anni.

Questo implica uno spostamento verso tecnologie come carbon capture, economia dell’idrogeno, energie rinnovabili e elettrificazione delle infrastrutture, con una riconversione green per i settori a maggiore impatto ambientale. “Nel settore oil & gas, le oil company stanno evolvendo ormai da anni in energy company, ridefiniscono le proprie strategie ma tuttora esiste il problema dei nuovi modelli di business legati alla transizione energetica. La velocità di cambiamento è impressionante e il rischio maggiore è di sbagliare strategia”.

Alfani ha analizzato il modo in cui le imprese stanno affrontando la transizione energetica: secondo un’analisi sul listino Ftsi Mib il 90% delle aziende del campione riconosce la rilevanza del cambiamento climatico come elemento concreto ma solo il 30% ne evidenzia i rischi fisici e i rischi di transizione, mentre il 20% ha approfondito lo scenario in una prospettiva di impatto futuro. “Il tema è complesso e trasversale a diversi settori, non riguarda solo le multiutilities, e la stessa trasversalità è richiesta all’interno delle aziende, dove saranno necessarie competenze specifiche. Non va dimenticato che i mercati finanziari, il credito e il private equity cercano aziende che investano nell’Esg”. Un’incognita è la politica degli annunci portata avanti dalle imprese su iniziative e impegni finalizzati alla sostenibilità, atti che puntano più all’immagine quando invece è richiesto di procedere per modelli e misurare gli obiettivi.

Standardizzazione e tassonomia sono passi necessari anche per le società di certificazione, che ad oggi di fronte a richieste di validazione di percorsi di transizione non possiedono gli strumenti adatti, ha affermato Capaccioli.

Un ulteriore tema è il ruolo del settore delle costruzioni e dell’urbanizzazione sulla sostenibilità, con le città che pur coprendo il 3% della superfice terrestre producono il 70% delle emissioni. Un tema concreto che incide sull’impatto ambientale del settore costruttivo riguarda i componenti delle costruzioni: in una filiera globale arrivano sul mercato italiano materiali costruiti in paesi dove la questione sostenibilità è meno sentita, mentre le imprese locali stanno lavorando nell’ottica dei criteri ambientali minimi. “Strumenti come il Superbonus 110% vanno nella giusta direzione ma presentano il limite di non guardare al sistema edificio ma solo alla sua componente di consumo energetico. Per avere un impatto reale è necessario ragionare invece in termini di ripensamento, non di ristrutturazione, un ambito che va proiettato sul singolo edificio come sulla città nel suo complesso, che va ripensata nella sua conformazione per essere veramente più sostenibile”.

 

Affiancare le imprese nei rischi di Sostenibilità e Digital Transformation

Tra i nuovi rischi, oltre la sostenibilità ma strettamente connessa ad essa, ci sono quelli collegati alla trasformazione digitale, un paradigma ad elevato impatto che porta con sé maggiore flessibilità, trasparenza, minore impatto ambientale. Ma la digitalizzazione rappresenterà anche un vantaggio competitivo per le imprese che sapranno integrarla al meglio nei propri piani industriali. La tavola rotonda “Sostenibilità e Digital Transformation: due facce della stessa medaglia”, ha visto affrontare l’argomento dalla parte dei broker, con gli interventi di Fabio Landriscina, Risk Management & SpecialtiesLeader, Marsh Italy, Andrea Parisi, Ad e Dg Aon, e Gianmarco Tosti, Italy Country Manager & Head of Corporate Risk and Broking di Willis Towers Watson.

Secondo tutti gli osservatori la pandemia ha portato a un’accelerazione della digitalizzazione sia a livello di organizzazione che per i canali commerciali. Le imprese di servizi, in particolare quelle che avevano già avviato programmi di smartworking, si sono trovate avvantaggiate rispetto a quelle del manifatturiero, impegnate a trovare soluzioni per la sicurezza dei dipendenti. Ma la posizione del settore assicurativo nei confronti dei rischi della digitalizzazione è tutt’ora in una fase di definizione, sia nel modello di protezione da proporre ai clienti sia nell’utilizzo degli strumenti tecnologici a supporto dell’offerta e dei relativi servizi.

Non trascurabile nell’inquadramento generale del tema, il fatto che il core business delle imprese è passato negli ultimi decenni dagli asset fisici agli asset intangibili, aumentando la difficoltà per le compagnie di quotare il rischio e introducendo la necessità di nuove soluzioni come la ritenzione, le captive o forme di collaborazione.

Due sono gli aspetti principali emersi dal confronto: da una parte la sensibilità delle imprese verso il rischio tecnologico, dall’altro i contorni dell’offerta assicurativa. Landriscina ha notato che se il cambiamento climatico è vissuto come una situazione non eludibile che può dare origine a rischi, la digitalizzazione è invece considerata un’opportunità in cui i rischi hanno un peso ritenuto secondario: le aziende quotate italiane pongono il cyber al 15° posto nella classifica dei rischi, anche se probabilmente è il più frequente, e in una ricerca realizzata da Marsh con Cattolica Assicurazioni risulta associato prevalentemente al rischio reputazionale. Di fronte a questo approccio da parte delle aziende c’è un mercato assicurativo che negli ultimi anni si è irrigidito, ed è questa una delle ragioni, secondo Parisi, per cui gli interlocutori delle compagnie stanno diventando sempre più i Cda e meno gli esperti di assicurazioni aziendali, che erano i referenti nella fase di soft market. Tosti ha osservato che il mercato è soggetto a cicli, e nell’attuale è necessario cambiare paradigma di gestione del rischio e pensare al trasferimento solo come una delle soluzioni, se possibile con l’introduzione di fattori innovativi come i big data e le analisi predittive che potranno aiutare a prezzare meglio i rischi.

Nell’ottica dei partecipanti alla tavola rotonda diventa sempre più importante la capacità dei broker di fornire un servizio di consulenza nell’ambito dell’Erm, ad esempio per aumentare la conoscenza delle imprese sui propri mercati, per affiancarle nella trasformazione digitale, per comprendere i propri rischi e modellizzarli anche con l’aiuto dell’intelligenza artificiale.

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