Per la Cassazione la “pausa caffè” fuori ufficio non è assicurata

La Cassazione ha stabilito che un lavoratore che subisce un infortunio quando temporaneamente fuori ufficio per una pausa caffè non è coperto da assicurazione e, dunque, non ha diritto ad alcun indennizzo.

E’ quanto accaduto a una dipendente del Ministero della Giustizia di Firenze: i giudici della Cassazione hanno accolto il ricorso dell’INAIL volto a ribaltare una decisione emessa dalla Corte d’Appello che alcuni anni fa aveva concesso un risarcimento.

Il caso è però più complicato di quanto sembri.

CRE Italia ne ha discusso con Claudio Perrella, avvocato italiano e partner di R&P Legal, con una lunga esperienza in campo assicurativo.

Avvocato, quali sono gli elementi salienti di questa sentenza?

La sentenza ha escluso il diritto al riconoscimento dell’indennità di malattia INAIL in favore di una dipendente  che, allontanatasi dall’ufficio durante l’orario di lavoro per effettuare una pausa caffè autorizzata dal datore, era caduta lungo il breve tragitto di ritorno procurandosi un trauma al polso destro.

E’ una fattispecie piuttosto peculiare in cui sono stati applicati concetti tradizionali quale in particolare quello della “occasionalità di lavoro”, che è uno dei presupposti di operatività dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.

Si è giunti in Cassazione perché le Corti merito avevano invece ritenuto che l’indennità fosse dovuta, a dimostrazione del fatto che il punto era  in qualche modo controverso.

Cosa si intende per infortunio in itinere e occasionalità di lavoro?

L’infortunio in itinere è l’evento dannoso  subito dal lavoratore lungo il normale percorso di andata e ritorno compiuto, di regola, nei tragitti “casa-lavoro”, “primo lavoro-secondo lavoro” e – se all’interno dell’azienda non c’è un servizio mensa – “lavoro-luogo abituale di consumazione dei pasti”.

A partire dagli anni 2000, la tutela ed indennizzabilità assicurativa dell’infortunio in itinere è espressamente prevista dall’articolo 2 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo Unico assicurazione infortuni e malattie professionali).

L’assicurazione in questione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro: anche nel caso di infortunio in itinere, quindi, il presupposto perché l’assicurazione operi  è la sussistenza di tale occasione, o occasionalità, di lavoro.

Quest’ultima è presente ogni volta che vi è nesso causale tra lavoro e rischio di evento dannoso a cui si trova esposto il lavoratore.

E’ necessario cioè che l’azione in sé del lavoro, il contesto in cui il lavoro è svolto oppure le azioni o situazioni ad esso collegate determinino, direttamente o indirettamente, l’assunzione di un rischio specifico da parte del lavoratore.

L’occasione di lavoro può talvolta ricomprendere anche un rischio improprio e non specifico, cioè quel rischio che non è naturalmente insito nelle mansioni svolte dal lavoratore.

Resta tuttavia il  limite del cd. rischio elettivo, ovvero il rischio che  scaturisce da una scelta arbitraria del lavoratore.

In altre parole se il lavoratore, mosso da personali impulsi, crea ed affronta volontariamente una situazione diversa da quella inerente l’attività lavorativa, il suo comportamento spezza ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento dannoso, con conseguente non indennizzabilità dell’infortunio occorso.

Ve precisato tuttavia che la giurisprudenza ritiene sussistere di regola elettivo in caso di condotta abnorme, distinta dalla imprudenza o negligenza del lavoratore, in presenza delle quali l’evento infortunistico è invece il più delle volte riconosciuto.

Sono stati ad esempio riconosciuti indicatori di elettività, quindi di esclusione dalla tutela infortunistica, comportamenti del tutto estranei al fine lavorativo o aziendale, oppure atti di esibizionismo o legati a scelte individuali motivate da impulsi meramente personali

Ci sono precedenti analoghi?

Vi era stato in effetti un caso simile in passato (Cass. n. 4492/1997), anche se atteneva ad un infortunio del lavoratore verificatosi durante la pausa mensa lungo il percorso per raggiungere un vicino bar, e dunque prima di aver consumato la pausa caffè, non dopo come nel caso recentemente deciso dalla Cassazione.

In ogni caso, i principi di diritto applicati sono stati affermati in molte occasioni dalla giurisprudenza.

Nei precedenti di interesse, è stato ad esempio affermato che l’infortunio in itinere occorso al lavoratore che utilizza il mezzo proprio può essere indennizzato solo se l’uso del veicolo privato è reso necessario dall’assenza di mezzi pubblici (TAR Sardegna n. 869/2015).

E’ stata inoltre valorizzata la necessità di scegliere il percorso più breve per recarsi al lavoro; rispetto alle deviazioni compiute dal lavoratore lungo il tragitto, l’indennizzabilità dell’infortunio in itinere è stata negata nel caso di deviazione per rifornimento carburante, in quanto ritenuta non necessitata (Trib. Bari 27 giugno 2017), mentre ad opposta conclusione si è giunti per la deviazione determinata da ragioni di lavoro o per adempiere a direttive datoriali (Cass. n. 9099/04).

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