Risk Ready: dalla percezione all’azione, i rischi ‘nero su bianco’ nei bilanci delle quotate

Il Global Risk Report, pubblicato ogni anno dal World Economic Forum in collaborazione con Marsh McLennan e Zurich, fotografa la percezione delle imprese globali sui maggiori rischi e sui loro potenziali impatto a medio termine. Cosa accade però quando si passa dalle percezioni alle azioni, cioè quando intuizioni e previsioni vengono tradotte in scelte concrete? Per comprenderlo, Marsh ha realizzato “Risk Ready: il rischio nelle aziende quotate italiane”, un report presentato in un webinar con ANRA.

Come sottolinea Carlo Cosimi, Vice Presidente ANRA e Head of Insurance & Risk Financing Saipem, il bilancio è una fotografia della situazione economica di una società. E’ uno strumento imprescindibile per comprendere lo stato di salute di un’azienda e le sue prospettive future, la sua potenziale resilienza a nuove crisi, la capacità di proteggere i propri obiettivi strategici. Gli investitori più attenti oggi sanno che la capacità di competere delle aziende e il loro futuro non si giocheranno più solo su elementi quali il fatturato o la struttura dei costi ma sempre più sulla loro capacità di gestione dei rischi. Come vengono rappresentati e comunicati questi rischi nei bilanci? Le informazioni trasmesse sono sufficienti ad investitori e stakeholder per capire quali sono le reali esposizioni di un’azienda e i livelli di rischio ritenuti?

Fabio Landriscina, Risk Management and Specialties Leader Managing Director Marsh, ricorda che il Global Risk Report viene redatto dal 2005 e contiene la percezione dei rischi di 12.000 executive di tutto il mondo su scenario di breve, medio e lungo termine. Ciò che non dice però è come tutto questo si traduce nei documenti finanziari, come viene comunicato, ed è da questa domanda che ha preso avvio l’analisi di Risk Ready. Una premessa fondamentale è che il report presentato considera i bilanci redatti tra marzo e maggio 2020, pertanto risente delle conseguenze della pandemia ma solo parzialmente, in quanto alcuni scenari non erano ancora prevedibili.

Morena Orlando, Client Executive Risk Management Marsh, una delle responsabili del progetto, specifica che l’analisi è stata condotta sulle aziende quotate italiane (336) di 13 settori merceologici (prevalgono le Financial Institutions, seguono le società dei settori manifatturiero, tecnologico e media & communication), e considerando 29 categorie di rischio. Una premessa importante è ricordare gli obblighi di disclosure in bilancio a cui le quotate italiane devono sottostare, vale a dire non solo di natura finanziaria ma anche di natura non finanziaria, dal momento che il D. Lgs. 254 del 30/12/2016 (attuazione alla Direttiva 2014/95/UE) ha introdotto l’obbligo per gli enti di interesse pubblico di pubblicare annualmente una Dichiarazione di carattere non finanziario (ad es. il Bilancio di sostenibilità) che includa informazioni in merito agli impatti dell’attività su tematiche ambientali, sociali, relative al personale, anti-corruzione e diritti umani. La classifica generale del report vede al primo posto i rischi finanziari (principalmente credito 82%, poi liquidità 80%, tassi d’interesse 72% e tassi di cambio 63%), al secondo le incertezze sul macro scenario (45%), seguito da tematiche di Legal & Compliance (38%) e Regolamentari (34%). Al quinto posto il Covid-19 con il 33%, che sembra preoccupare particolarmente i settori delle Infrastrutture e costruzioni, Real Estate e Tecnologia. Sarà interessante monitorare l’evoluzione del rischio pandemico nei bilanci, anche tenendo conto dell’importante aggiornamento del 16 febbraio 2021, un richiamo di attenzione della Consob che pone, a seguito del documento dell’ESMA (European Securities and Markets Authority) del 28/10/20, l’obbligo per le società quotate di esplicitare nei bilanci riferiti all’anno 2020 indicazioni in merito all’impatto del COVID-19 sulle rispettive attività. Proseguendo nella classifica, al sesto posto si trovano i rischi legati al Capitale umano (31%), quelli relativi a concorrenza (30%), processi aziendali (30%), strategie (29%), HSE e sustainability (27%), tutti con valori molto vicini. I rischi legati al capitale umane compaiono nella top 5 dei settori Fashion, Healthcare & chemicals, Technology ed Entertainment. Gli ultimi posti della classifica vedono il rischio paese/politico (11°), le variazioni nei prezzi delle materie prime, la dipendenza dai fornitori, il cambiamento nelle abitudini dei consumatori, e il rischio cyber, che nonostante sia solo al 15° posto è presente nel 24% dei bilanci ed è in crescita rispetto al 2018 di 9 punti percentuali.

Interpretando questa classifica, conclude Orlando, è verosimile pensare che la centralità dei rischi finanziari dipenda da fattori quali l’obbligo di disclosure a cui sono sottoposte le aziende, dal contesto di recessione globale provocato dalla pandemia e dalla relativa instabilità economica. Tre aree la cui importanza ci si aspetta di vedere crescere nei prossimi bilanci sono sicuramente il Covid-19, che ha un impatto trasversale su tutte le altre tipologie di rischio, la sostenibilità, in parte per l’obbligo di disclosure di informazioni non finanziare e in parte perché è in aumento l’attenzione degli stakeholder su queste tematiche, e il rischio cyber, a seguito della crescita esponenziale nell’adozione del digitale e delle modalità di remote working.

Diego Montemurri, Head of Strategic Risk Advisory in Marsh Advisory, riporta alcune importanti riflessioni nate dal confronto tra i risultati di Risk Ready e quelli del Global Risk Report. In quest’ultimo, considerando un orizzonte temporale inferiore a 2 anni, prevalgono i rischi correlati all’impatto della pandemia (epidemie, crisi nella forza lavoro, fallimento delle misure di cybersecurity, digital gap) insieme agli eventi meteorologici estremi e al prolungarsi della stagnazione economica. Nel medio periodo (3-5 anni) si trovano invece praticamente solo rischi economici e finanziari, che rappresentano la concretizzazione delle minacce individuate nel breve termine: la crisi delle economie dominanti, il fallimento nelle politiche dei prezzi, uno shock nel prezzo delle materie prime, crisi di debito nelle economie forti. L’unico rischio non finanziario che rientra nei primi posti, ed è in realtà al vertice ex equo, è il breakdown delle infrastrutture IT critiche, anch’esso dunque conseguenza dei rischi cyber individuati nel breve periodo. Proiettandosi in un orizzonte di 5-10 anni, le aziende temono gli impatti sulle proprie strategie delle evoluzioni dei trend che già preoccupano oggi, e riportano le possibili conseguenze negative della rivoluzione tecnologica, la perdita di biodiversità, la crisi delle risorse naturali, il diffondersi di armi di distruzioni di massa e il fallimento di stati strategici per l’equilibrio mondiale. Quali spunti di riflessione dunque dal confronto tra Risk Ready e Global Risks Report? Secondo Montemurri, le aziende nei propri bilanci dovrebbero dare maggiore priorità ai rischi cyber e focalizzarsi sull’implementazione e sulla mitigazione dei rischi tecnologici, C’è un’ulteriore necessità di intervento sui rischi legati al cambiamento climatico e agli impatti ambientali, e serve comprendere le diverse sfaccettature dei rischi sociali che deriveranno dalla pandemia (come l’erosione della coesione sociale, i problemi di salute mentale, il cambiamento nelle modalità di interazione). Parallelamente, per migliorare la comprensione dei rischi e ottimizzarne la comunicazione, dovrà crescere il committment degli organi di governo e controllo, servirà una maggiore integrazione del Risk Management nei processi decisionali e organizzativi, e una maggiore diffusione della cultura del rischio a tutti i livelli aziendali.

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