Energia green, motore della ripartenza italiana

Il futuro green trova preparato il settore produttivo italiano, che si mostra all’avanguardia nello sviluppo delle tecnologie per le fonti energetiche rinnovabili.

La transizione energetica, che è uno dei temi portanti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per l’utilizzo dei fondi europei per la ripartenza dopo la pandemia, si basa soprattutto, come è noto, sulle energie solare ed eolica, settori in cui l’Italia si mostra all’avanguardia anche se per tutto il secolo scorso la parte del leone è stata fatta dall’energia idroelettrica.

La presenza di un territorio ampiamente collinare e montano, ricco di corsi d’acqua, e la scarsezza di giacimenti di carbone e idrocarburi ha portato il paese a essere già dai primi del Novecento all’avanguardia nella produzione di energia idroelettrica, una rinnovabile che costituisce ancora oggi una discreta percentuale della produzione elettrica nazionale. In realtà, la spinta produttiva nel settore si è affievolita a partire dagli anni Sessanta, con un appiattimento della curva dell’energia prodotta e un contemporaneo aumento del fabbisogno, tanto che nel 2018 la produzione di energia idroelettrica arrivava a coprire poco più del 15% delle esigenze nazionali.

L’Italia rimane il paese del sole, e proprio il suo territorio montuoso la rende potenzialmente adatta anche alla produzione di energia eolica: serve uno sforzo in questi settori, ma l’obiettivo di aumentare l’autoproduzione energetica riducendo la dipendenza dall’estero è a portata di mano.

È per tutte le ragioni sopracitate che nel paese si è sviluppata da tempo la produzione di tecnologie per le fonti energetiche rinnovabili, in particolare per il solare, un settore che si mostra all’avanguardia a livello globale.

Secondo il report pubblicato da Intesa Sanpaolo dal titolo “Transizione energetica: la filiera delle tecnologie delle rinnovabili in Italia”, l’Italia è il secondo produttore in Europa – dopo la Germania – di tecnologie utilizzate esclusivamente negli impianti per la produzione di energie rinnovabili (FER, fonti energie rinnovabili) in tutti i settori, ad eccezione dell’eolico (oltre la metà della produzione in questo comparto avviene in Danimarca). In particolare, l’Italia si distingue nella produzione dei moltiplicatori di velocità (24%) e dei dispositivi fotosensibili (22%).

Anche se dipende dall’estero per l’importazione di molti componenti – e la supply chain è un rischio da non sottovalutare -, a livello globale l’Italia è il sesto paese esportatore con una quota del 3% dell’export globale del settore (pari a 4,7 miliardi di euro), collocandosi dietro a Cina (oltre il 25%), Germania (11%), Stati Uniti (7%), Giappone e Hong Kong; è invece al quarto posto per quanto riguarda la specifica produzione dei moltiplicatori di velocità. Nel 2020, in un mercato globale perturbato dalla pandemia, l’export italiano della componentistica per le rinnovabili ha registrato un calo limitato a -2,3%, contro il -10% del totale del manifatturiero.

Rispetto ai paesi orientali, Italia e Europa si mostrano però molto più avanzate nella ricerca e nella registrazione di brevetti, con i paesi dell’Unione Europea che sommano oltre un terzo dei brevetti a livello mondiale per le fonti energetiche rinnovabili, con copertura su più di 4 mercati e una quota del 62% nel solo eolico. Per quanto riguarda l’Italia, il 55% dei suoi 1200 brevetti depositati presso l’European Patent Office riguarda tecnologie per il solare termico e fotovoltaico.

Lo studio di Intesa Sanpaolo stima che nel settore della componentistica FER operino in Italia 400 imprese, per un fatturato complessivo di 23 miliardi di euro e quasi 60 mila occupati nel 2019. Si tratta di aziende di ogni dimensione, attive nei settori meccanico, elettronico ed elettrotecnico, con una elevata propensione all’innovazione tanto che un’impresa su quattro, indipendentemente dalla sua grandezza, ha almeno un brevetto e una su cinque ne ha uno relativo a tecnologie ambientali. Un settore in grande espansione, dove anche le piccole imprese hanno registrato crescite di fatturato a due cifre tra 2017 e 2019: in un’Unione Europea che punta alla leadership nell’abbattimento delle emissioni inquinanti, è un buon punto di partenza, rimane la forte incognita della dipendenza dalle materie prime e dalla componentistica di base, spesso prodotta in Estremo Oriente.

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