Reshoring o delocalizzazione? Come le aziende italiane riorganizzano la supply chain

La pandemia ha indotto importanti cambiamenti nella gestione delle catene di fornitura, e oggi le aziende si interrogano su come ripensarle in modo da garantirne efficienza e resilienza allo stesso tempo. A partire da marzo 2021, cioè da quando la campagna vaccinale negli USA ha consentito la riapertura della maggior parte delle attività, si è registrata una decisa ripresa degli scambi internazionali. La maggior parte dei paesi avanzati, Italia compresa, dovrebbe raggiungere l’immunità di gregge (considerando la prima dose) entro l’estate, determinando così un ritorno alla normalità, ma gli ostacoli dal lato della domanda saranno sempre più visibili. L’argomento è stato affrontato in un webinar organizzato da ANRA da Massimo Reale, Direttore Commerciale MMEA Euler Hermes, società di assicurazione del credito che ha realizzato un’indagine su quasi 1200 aziende di cinque paesi (USA, Regno Unito, Francia, Germania e Italia) e sei settori (IT, tecnologia e telecomunicazioni, macchinari e attrezzature, prodotti chimici, energia e utility, automotive e agroalimentare). “La ripresa della domanda globale ha assunto una forma ad U e ora si trova a livelli record in tutti i settori. Tuttavia l’offerta stenta a tenere il passo, in particolare nei settori dei beni di consumo, delle materie prime e della tecnologia. Il livello di pent-up demand stimato in Italia corrisponde a circa l’1,5% del pil del paese” ha spiegato.

Nonostante i possibili intoppi lungo la strada, l’Italia è destinata a registrare numeri di crescita ottimistici sia per il 2021 che per il 2022. Le stime ufficiali prevedono un aumento del PIL compreso fra il 4,1% e il 4,5% per il 2021 e fra il 4,3% e il 4,8% per il 2022. Tuttavia “anche i fallimenti aziendali riprenderanno a crescere, dopo i bassi livelli artificiali del 2020 correlati agli incentivi e ai sostegni statali per fronteggiare le chiusure. Si prevede un aumento del 7% nel numero di fallimenti nel 2021 e altrettanto nel 2022, e ad essere colpiti saranno in particolare i settori costruzione e automotive” ha aggiunto Reale.

Il Covid-19 segnerà l’inizio della fine della globalizzazione? Al momento non si rileva nessun cambiamento importante verso la riorganizzazione delle catene di fornitura, ma dipende dai paesi. “Molte aziende cercano di trovare nuovi fornitori a livello nazionale e di avvicinare la loro produzione. La tendenza al reshoring, cioè al riportare la produzione su territorio nazionale, è molto più spiccata in USA, Francia, Germania e UK, paesi in cui è stata la scelta rispettivamente del 46%, 35%, 33% e 32% delle imprese, ma molto meno in Italia (16%) e la motivazione principale è che le aziende sono preoccupate di eventuali aumenti dei costi di produzione” ha risposto Reale.

Quali sono le altre strategie intraprese dalle aziende per affrontare le interruzioni della catena di approvvigionamento? Dal report di Euler Hermes emerge che un’impresa su due ha gestito il problema attraverso strategie di copertura (assicurazione, stoccaggio, soluzioni di approvvigionamento alternative). “Un dato particolarmente evidente è che la maturità digitale si è rivelata decisiva: le aziende altamente digitalizzate hanno intrapreso un numero significativamente maggiore di azioni per mitigare le interruzioni della catena di fornitura rispetto a quelle meno digitalizzate” ha sottolineato Reale.

In che modo si può migliorare la resilienza della catena di approvvigionamento? Secondo le aziende italiane in primis (44%) fornendo incentivi fiscali nazionali per la delocalizzazione, secondariamente (38%) migliorando l’accesso alle informazioni sulla catena di approvvigionamento e sulla gestione dei rischi, investendo in ricerca e sviluppo a livello statale (35%), introducendo accordi di libero scambio per ridurre i costi del commercio lungo la supply chain e cercando di rendere più flessibile il mercato del lavoro interno (entrambi 33%), e adottando misure per riqualificare la forza lavoro nazionale (32%).

Quali sono dunque i trend e le prospettive per l’Italia? “L’aumento dei costi di produzione sarà un fattore decisivo, e l’attrattività è la preoccupazione principale. La Cina, seguita dalla Francia, sembra essere uno dei paesi più interessanti per il trasferimento dei siti produttivi italiani” ha concluso Reale.

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